Marco Biondi
MARCO BIONDI - Dall’infanzia al mixer.
Avevo
15
anni
quando
mi
proposero
per
la
prima
volta
di
fare
radio.
Non
sapevo
neanche
cosa
volesse
dire,
e
non
me
ne
rendevo
assolutamente
conto.
Certo,
io
sono
nato
con
la
musica
nel
sangue,
sono
nato
cantando,
e
ho
scoperto
la
radio
fin
da
bambino,
grazie
a
mia
madre,
che
quando
era
in
casa
la
teneva
sempre
accesa,
soprattutto
la
domenica
mattina,
quando,
mentre
cucinava,
ascoltava
su
Radio
Rai
"Gran
varietà" condotto da Johnny Dorelli, bravissimo.
Era
un
programma
che
sembrava,
per
quello
che
mi
ricordo,
un
varietà
fatto
per
la
tv
del
sabato
sera,
ma
in
onda
invece
la
domenica
mattina
in
radio.
Me
lo
ricordo
bellissimo,
con
tanta
gente
in
studio,
tanti
ospiti,
intrattenimento
a
mille.
Mia
mamma
lo
adorava.
E
poi
la
radio
per
me
voleva
dire
la
storica
"Hit
Parade"
di
Lelio
Luttazzi,
appuntamento
del
venerdì,
dove
io,
col
mio
registratore a bobine della Geloso, mi registravo tutte le mie canzoni preferite.
Ero
un
bambino,
ma
già
mi
davo
da
fare
con
la
piccola
tecnologia
che
potevo
usare
all'epoca,
ma
soprattutto
con
la
musica.
Ero
già
un
collezionista
all'epoca.
Noi
venivamo da una famiglia povera.
Comprare
dischi,
per
la
mia
famiglia
era
una
spesa
che
se
si
poteva,
si
evitava,
anche
se
eravamo
tutti
amanti
in
qualche
modo
della
musica.
Mia
madre
comprava
i
dischi
di
musica
leggera,
ma
amava
anche
le
opere
liriche,
come
anche
mio
padre,
che
oltre
ad
ascoltare
i
dischi,
suonava
pure
mandolino
e
armonica
a
bocca.
Di
dischi,
comunque ne compravamo, ma ovviamente non tutti quelli che io avrei voluto.
Fin
da
bambino,
avevo
l'esigenza
di
"possedere"
tutto
quello
che
mi
piaceva.
Esigenza che mi porto dietro ancora oggi, nei confronti di tutto ciò che mi piace.
Tutto
ciò
che
vedo
e
che
mi
colpisce,
deve
poter
entrare
in
casa
mia,
sotto
la
forma
di
un
oggetto
o
di
una
fotografia,
di
un
disco,
di
un
nastro
registrato.
Non
è
un
caso
se
ho
centinaia
di
foto
che,
disposte
secondo
il
mio
istinto
del
momento,
formano
decine
di
quadri,
che
scaldano,
abbelliscono
e
fanno
vivere,
le
mura
di
casa
mia.
Le
persone
care,
le
città
dove
ho
vissuto
e
che
ho
visitato,
gli
artisti
che
ho
intervistato,
le
serate
che
ho
fatto
in
discoteca,
i
calciatori
che
ho
incontrato,
gli
amici
svaniti
sulla
linea
del
tempo,
le
mie
donne….Tutto
deve
poter
vivere
quotidianamente
nella
mia
casa.
E'
la
storia che continua a vivere e non si trasforma in ricordo.
Odio
i
ricordi,
mi
sanno
di
patetico.
Ma
adoro
che
la
mia
storia
mi
faccia
vivere
continuamente
le
sue
emozioni.
Senza
smettere.
Mai.
Soprattutto
le
persone.
Anche
se
non
le
incontrerò
più
nella
mia
vita,
ci
sono
delle
persone,
che
da
me
non
se
ne
andranno
mai.
Dentro
di
me,
vivranno
sempre.
E'
una
delle
mie
chiavi
d’accesso
per
poter
vivere,
come
faccio
da
una
vita,
perennemente
nel
futuro, ma vivendo a stretto contatto con il mio passato. Non c'è futuro senza passato.
Da
bambino,
si
vedeva
già
questa
mia
caratteristica
di
"possesso",
e
quindi,
proprio
le
canzoni
preferite
dovevano
essere
mie,
ad
ogni
costo.
E
quel
piccolo
registratore
a
bobine
della
Geloso,
era
il
mio
archivio.
La
radio
di
mia
mamma,
era
in
cucina,
posta
su
una
mensola
vicino
alla
finestra.
Di
fianco
alla
radio,
c'era
un
vaso
di
fiori
(mia
mamma
adorava
i
fiori).
Sotto
la
mensola,
un
divano.
Era
la
mia
postazione.
Io
sul
divano
col
piccolo
bobine,
e
il
microfono
(sì,
si
registrava
col
microfono!),
posizionato
in
bilico
sul
vaso
di
fiori,
vicino
alla
radio
che
suonava.
E
appena
Lelio
Luttazzi,
annunciava
qualche
canzone
che
mi
piaceva,
scattava
il
tasto REC, e da quel momento guai a chi parlava in quella stanza!
Ogni
rumore
o
parola
si
sarebbe
poi
sentiti
nelle
registrazione.
E
infatti
non
vi
dico
quante
canzoni
ascoltavo
con
chiacchiere,
o
litigi
o
pentolame
vario
in
sottofondo.
Ma
quel
momento
per
me
era
un
rito.
Il
mio
archivio
musicale
arrivava
bene
o
male
da
quel
programma.
Ripeto,
ero
bambino,
per
cui,
i
miei
idoli
in
quel
periodo
erano
Gianni
Morandi
e
Adriano
Celentano
sopra
tutti
e
poi
Caterina
Caselli,
Rita
Pavone,
Massimo
Ranieri,
(di
quest'ultimo
adoravo
in
modo
particolare
le
canzoni
"Vent'anni",
"Se
bruciasse
la citta'" e "Da bambino").
Quest'ultima
canzone,
Massimo
Ranieri
la
canto'
in
coppia
con
i
Giganti
al
Festival
di
San
Remo
del
1968.
Quanto
mi
piaceva
il
Festival,
in
quegli
anni…lo
adoravo!
Per
me
era
un
evento
imperdibile.
Mi
mettevo
davanti
alla
tv,
e
tifavo
per
i
miei
artisti
preferiti,
che
regolarmente
non
vincevano,
ma
anzi
il
più
delle
volte
venivano
eliminati
o
arrivavano
ultimi.
E
il
giorno
dopo
gia'
avevo
memorizzato alcune di quelle canzoni, che cantavo continuamente.
Dopo
ogni
festival,
tutti
gli
anni,
ricordo
che
veniva
a
casa
nostra
un
signore,
con
una
valigia
pieni
di
dischi.
Erano
tutti
i
dischi
di
San
Remo!
E
io
sceglievo
cosa
comprare,
mentre
mi
brillavano
gli
occhi.
Altri
li
compravo
alla
fiera
di
Ariadello,
un
posto
affascinante
sperduto
nella
campagna,
dove
c'era
un
Santuario
e
dove
ogni
anno,
in
Maggio,
c'era
questa
fiera
bellissima,
piena
di
bancarelle
e
dove
si
andava
a
fare
il
pic-nic
nei
prati
attorno.
Obbligavo
ogni
volta
i
miei
genitori
a
fermarsi
alla
bancarella
dei
dischi,
e
regolarmente
riuscivo
a
portare
a
casa
qualche
45
giri.
Ogni
disco
conteneva
2
canzoni
di
successo.
Certo,
non
erano
cantate
dagli
interpreti
originali,
ma
costavano
anche
molto
meno
e
noi
potevamo
comprarne
di
più.
Erano
praticamente
delle
cover
dei
grandi
successi
di
quel
periodo,
interpretate
da
cantanti
sconosciuti.
Ma
tranne
la
voce,
erano
perfettamente
uguali.
C'erano
ovviamente
anche
i
45
giri
con
le
versioni
originali,
e
quando
riuscivo
a
farmi
comprare
qualcuno
di
quelli,
per
me,
allora,
era proprio festa grande!
Ma
in
modo
particolare
io
amavo
i
gruppi:
l'Equipe
84,
i
Dik
Dik
(questi
mi
piacevano
di
brutto),
i
Giganti
(la
loro
canzone
"Proposta"
la
consideravo
un
capolavoro),
i
Camaleonti,
la
Formula
3.
E
poi
i
Beatles,
anzi...i
Bitos!
Per
me
si
scriveva
così.
Ma
quella
diventerà
poi
una
vera
malattia
(il
loro
scioglimento
fu
per
me
un
vero
trauma...e
avevo
solo
9
anni!),
così
come
anche
per
Battisti
(….nella
mia
vita
ho
pianto
per
la
scomparsa
di
un
grande
artista
3
volte,
per
John
Lennon,
per
Michael
Jackson e... per il grande Lucio Battisti)
Anch'io
con
i
miei
amici,
verso
i
12
anni,
formai
un
gruppo.
Io
alle
tastiere
e
canto,
(avevo
studiato
pianoforte
per
4
anni
con
lezioni
private)
gli
altri
a
strimpellare
qualche
strumento.
Smisi
di
suonare
con
loro
quando
mi
accorsi
che
dovevo
fare
tutto
io
e
che
a
loro
non
gliene
importava
più
di
tanto
di
far
parte
di
un
gruppo.
Avevamo
fatto
in
tutto,
sì
e
no,
4
prove,
a
casa
di qualcuno di loro…
All'epoca
i
nomi
che
ho
citato,
erano
assoluti
idoli
della
musica
leggera
italiana.
Sono
i
nomi
che
rappresentano
di
più
il
mio
periodo
che
all'incirca
va
dai
6
agli
8
anni,
ma
oltre
a
loro
ce
ne
erano
molti
altri,
magari
legati
a
una
sola
canzone.
Entro
pochissimo
tempo,
arrivarono
poi,
appunto,
Lucio
Battisti,
Mina
(passione
decisamente
trasmessami
da
mia
madre,
e
poi
Mina
viveva
a
Cremona, e noi abitavamo a Soresina in provincia di Cremona), e poi tutti gli altri.
A
quell'età
i
regali
che
adoravo
in
assoluto
erano
i
dischi,
per
farmi
felice
anche
soldatini,
un
pallone
o
un’autopista,
mi
mandavano
in
delirio,
ma
il
disco,
il
45
giri,
mi
creava
un'euforia
e
una
soddisfazione
che
non
aveva
paragone
con
niente.
E
già
da
bambino
avevo
la
mia
piccola
collezione,
che
in
parte
conservo
ancora.
Ricordo
perfettamente
la
casa
che
avevamo
in
quel
periodo,
la
mia
prima di una serie di case, in via Caldara 48 a Soresina, la casa della mia infanzia.
Aveva
un
cortile,
di
forma
irregolare,
c'era
ghiaia
in
terra,
ed
era
ornato
nel
suo
contorno
da
aiuole,
strette
e
lunghe,
piene
di
fiori
che
mia
madre
amava
coltivare
e
curare.
Facevano
il
perimetro
di
questo
spazio,
inizialmente
stretto
e
lungo,
che
poi
si
allargava
sulla
sinistra,
per
poi
stringersi
nuovamente,
allargarsi
sulla
destra,
per
proseguire
fino
al
garage.
In
fondo,
c'era
l'orto,
che
coltivava mio padre.
Da
bambino,
caratterialmente,
ero
molto
chiuso,
timido
all'eccesso.
Amavo
stare
con
i
miei
piccoli
amici
di
quartiere,
pochi,
a
casa
loro o a casa mia. Giocavamo a calcio, ascoltavamo dischi o andavamo in giro.
Passavo
anche
molto
tempo
da
solo,
perché
i
miei
genitori
lavoravano
tutto
il
giorno
e
una
volta
uscito
da
scuola,
o
andavo
all'oratorio
a
giocare
a
pallone,
o
stavo
a
casa
a
farmi
gli
affari
miei,
in
attesa
che
i
miei
ritornassero,
oppure
andavo
da
mia
nonna
Lina,
madre
di
mia
mamma,
anche
lei
perennemente
con
la
radio
accesa.
E
poi,
quando
avevo
4
anni,
arrivò
Manuela,
mia
sorella,
quindi a volte dovevo accudire lei (ma spesso, Manuela veniva portata dalla nonna).
Più
passava
il
tempo
e
più
la
voglia
di
"possedere"
dischi,
diventava
impagabile.
Nella
mia
follia,
che
ho
sempre
un
po'
avuto,
nel
bene
e
nel
male,
e
nella
mia
ingenuità
da
bambino,
un
giorno,
decisi
di
fare
un
esperimento.
Ero
affascinato
a
volte,
nel
vedere
mio
padre,
che
di
professione
faceva
l'elettricista,
e
che
aveva
questa
passione
per
l'orto,
che
vangava,
seminava,
innaffiava,
dove
c'erano
queste
cose
che
poi
crescevano,
si
moltiplicavano
e
diventavano
cibo.
Un
giorno
d'estate,
tardo
pomeriggio,
decido
di
fare
questo
esperimento
che
mi
frullava
in
testa
da
un
po'
di
giorni.
Prendo
una
decina
di
45
giri,
li
tolgo
dalla
busta,
vado
verso
l'orto.
Sapevo
che
c'era
una
piccola
parte
di
terra
libera.
Prendo
i
45
giri,
li
spingo
nella
terra,
uno
a
uno,
ben
distanziati
fra
di
loro,
come
mio
padre
faceva
con
i
semi.
E
me
ne
vado,
aspettando
di
vedere
quello
che
sarebbe
successo.
Una
follia
totale,
mi
dico
ora,
da
deficiente
vero.
Che
cosa
mi
aspettavo?
Che
crescesse
una
pianta
di
45
giri?
Ma
il
bello
che
io
in
quel
momento
ero
convinto.
Pensavo
:
"Se
si
moltiplicano
sai
quanti
ne
ho!"
Razionalmente
mi
dico
ora,
era
una
cavolata
totale,
ma
che
tanto
non
avrebbe
provocato
danni
al
disco.
I
45
giri
dell'epoca
avevano
un
solco
bello
spesso,
quindi
non
sarebbero
stati
neanche
danneggiati.
Era
estate,
cosa
poteva
succedere.
Una
volta
tolti
dalla
terra
avrebbero
ripreso
a
suonare
come
prima
nel
mio
mangiadischi.
Ma
successe
l'imprevedibile.
Quella
notte
arrivò
un
diluvio.
Un
vero
diluvio.
Che
io
durante
la
notte,
vivevo
come
un'impagabile
fortuna!
Ci
voleva
l'acqua,
del
resto,
per
far
crescere
qualcosa.
Anche
se
dentro
di
me
c'era
la
consapevolezza
del
danno
che
avrei
rischiato
di
provocare
a
quei poveri piccoli dischi.
Dormii
un
sonno
agitato.
E
la
mattina
seguente…vi
lascio
immaginare
le
condizioni
di
quei
45
giri.
Completamente
distrutti.
Dell'etichetta
dei
dischi
era
rimasta
poca
roba,
il
fango
aveva
invaso
i
solchi,
e
metterli
sul
giradischi
ora,
voleva
dire,
a
parte
distruggere
la
puntina,
sentire
solo
gracchiate
di
fango
che
tentava
di suonare.
Ovviamente
mio
padre
se
ne
accorse
subito
la
mattina
dopo,
appena
andò
nell'orto.
Non
vi
dico
il
putiferio
che
si
scatenò!
Ma
per
me
il
danno
era
ancora
più
grande.
Avevo
seminato
i
miei
dischi
preferiti!
Ed
ora
erano
distrutti.
Avevo
sacrificato
in
questo
esperimento,
autentiche
perle
della
mia
infanzia,
come
"Azzurro"
di
Adriano
Celentano,
"L'orologio"
di
Caterina
Caselli,
"Il
Geghegè" di Rita Pavone, "Scende la pioggia" di Gianni Morandi…e davvero….quanta pioggia scese quella notte!
Ma
la
mia
creatività
di
bambino,
mi
portò
anche
a
inventarmi,
tanto
per
giocare
quando
ero
solo,
un
juke
box
umano.
Il
juke
box,
negli
anni
sessanta,
era
un
simbolo,
e
per
me
era
una
scatola
magica
piena
di
dischi
da
suonare.
In
qualsiasi
posto
io
andassi
dove
c'era
un
juke
box,
ero
subito
lì
attaccato,
affascinato,
con
le
mie
100
lire
pronto
per
fare
le
mie
3
selezioni,
e
ascoltare
i
miei
dischi
preferiti.
Ma
soprattutto,
essendo
in
posti
pubblici,
nella
mia
testa,
e
nella
mia
anima,
c'era
l'orgoglio
di
far
sentire
a
tutti
i
presenti,
che
cosa
stavo
scegliendo
io.
Volevo
già
in
quel
momento
diffondere
quella
che
per
me
era
la
bella
musica.
Non
me
rendevo conto, ma forse avevo già iniziato nel mio piccolo a fare il DJ, senza saperlo.
A
casa,
non
potendo
avere
un
juke
box,
me
lo
inventai,
solo
per
un
mio
uso
personale.
Mi
mettevo
in
cortile,
prendevo
un
ombrello,
e
lo
aprivo.
Lo
giravo,
al
contrario,
in
modo
che
il
manico,
dal
basso
arrivasse
verso
l'alto.
Prendevo
una
serie
di
45
giri,
e
li
posizionavo
all'interno
dei
vari
raggi
dell'ombrello.
Quello
che
ne
usciva
era
una
cosa
tipo
la
corona
dei
juke
box,
che
conteneva
i
vari
dischi.
A
quel
punto
facevo
la
mia
selezione
immaginaria,
prendevo
con
le
mani
il
45
giri
che
avevo
scelto,
e
lo
infilavo
nel
manico
dell'ombrello.
Appena
il
disco
scendeva
lungo
il
manico,
facevo
ruotare
l'ombrello
come
se
fosse
il
giradischi
e
cominciavo
a cantare quella canzone.
Davvero, un'altra follia, ma da bambino adoravo cantare, cantavo sempre, tutto il giorno.
Da
bambino
ero
timido,
molto
timido.
Ero
un
bambino,
che
giocava
con
gli
amici,
solo
se
ero
con
i
MIEI
amici.
All'asilo,
in
mezzo
alla
giungla
di
bambini,
la
mia
timidezza
mi
portava
spesso
a
starmene
in
disparte
a
guardare
gli
altri
che
giocavano.
Non
avevo
neanche il coraggio di difendere i miei piccoli diritti.
Non
pensavo
che
nella
vita,
sarei
mai
riuscito
a
fare
questo
tipo
di
lavoro.
Da
piccolo
volevo
emulare
mio
padre,
che
faceva
l'elettricista,
ma
in
realtà,
i
sogni
di
gloria,
mi
erano
arrivati
subito.
Passavo
le
giornate
a
cantare,
nel
cortile
di
casa
mia,
e
mi
vedevo
come
la
rockstar
del
momento,
che
cantava
su
un
grande
palco,
con
davanti
migliaia
di
persone,
che
rilasciava
interviste,
che
andava
in
tv,
come
i
miei
idoli
di
Canzonissima,
il
programma
della
Rai
degli
anni
sessanta
e
settanta.
Era
il
mio
sogno.
Chiudevo
gli
occhi,
mentre
cantavo
e
mi
vedevo
sul
palco,
o
nello
studio
della
Rai,
a
cantare
le
mie
canzoni.
Poi
li
riaprivo,
e
davanti
a
me
c'erano
solo
tantissimi
fiori
che
coltivava
mia
madre,
che
mi
sembrava
mi
guardassero
con
aria
di
compatimento.
Già
componevo
canzoni,
a
orecchio.
Le
inventavo
sul
momento.
Ce
n'era
una
che
adoravo.
Era
in
inglese,
un
inglese
finto,
completamente
inventato.
Avevo
7
anni
e
di
inglese
ovviamente
non
conoscevo
una
parola,
ma
avevo
fatto
questa
canzone
che
mi
piaceva
un
casino.
La
cantavo
sempre,
e
m’immaginavo
di
essere
un
Gianni
Morandi
inglese, idolo delle folle, che era il mio eroe vero di quel periodo.
Oggi
quella
canzone
l'ho
dimenticata.
Non
esistono
supporti
dove
l'abbia
registrata.
Chissà
com'era.
Chissà
che
effetto
mi
avrebbe
fatto,
riascoltarla
oggi.
Io
la
ricordo
bellissima!
Ma
ho
il
dubbio
che
sia
bella
solo
perché
si
è
tramutata
in
ricordo,
risentirla
potrebbe
essere
traumatico!
Diciamo,
che
dentro
sono
sempre
stato
un
sognatore,
ero
sempre
come
un
vulcano
in
eruzione
con
mille
sogni,
mille
idee,
mille
speranze,
e
con
punti
di
arrivo
molto
alti.
Ma
fuori,
poi,
quella
tremenda
timidezza,
mandava
tutto
a
quel
paese.
Mi
impediva
di
esprimermi come avrei voluto. E tutto naufragava miseramente.
Ricordo
anche
il
mio
programma
in
radio.
Era
il
1976,
avevo
15
anni.
I
miei
genitori
gestivano
un
bar
del
centro
di
Soresina,
il
Bar
Commercio,
che
esiste
ancora,
ed
è
in
via
Genala,
48,
la
via
centrale
del
paese.
L'abbiamo
avuto
per
circa
15
anni,
ed
era
un
Bar
che
lavorava
tanto.
Era
sempre
pieno.
Era
bello,
perché
giovani,
adulti
e
anziani,
convivevano
tra
di
loro.
C'era
il
bar,
con
tabaccheria,
e
totocalcio
con
tutti
gli
annessi
e
connessi,
la
paninoteca,
la
sala
TV,
la
sala
biliardo,
la
sala
giochi,
nel
cortiletto
d'estate
mettevamo
il
ping-pong.
Era
la
sede
di
varie
associazioni,
come
la
pro-loco,
ed
altre.
Era
sempre
pieno.
E
noi
abitavamo
di sopra, in una casa che occupava 2 piani.
Anch'io
lavoravo,
spesso
controvoglia,
in
questo
bar.
Aiutavo.
In
realtà
studiavo
ancora,
stavo
facendo
ragioneria,
a
Soresina,
con
risultati
alterni.
Un
giorno
arriva
nel
mio
bar
un
signore
che
di
cognome
faceva
Dragoni.
Era
un
cliente
fisso,
un
uomo
enorme,
alto,
robusto, lo conoscevo da un po' di tempo.
Mi dice:"Marco, a Soresina, sta aprendo una radio libera. Ti andrebbe di farne parte?"
Da
circa
1
anno,
sentivo
parlare
di
radio
libere.
Le
prime
erano
nate
nel
1975,
le
cosiddette
radio
pirata.
Mia
mamma
aveva
tutti
i
giorni
la
radio
del
bar
accesa
su
Radio
Brescia,
io
stesso
ero
diventato
ascoltatore
di
Radio
Punto
Nord,
un'altra
radio
di
Brescia.
C'era
un
programma
di
musica
pop
e
alternativa,
alle
5
del
pomeriggio,
che
mi
piaceva
un
casino,
e
lo
ascoltavo
tutti
i
giorni.
Mettevano tutte le novità del momento, e lì le ascoltavo, e poi spesso andavo a comprare quelle che mi piacevano di più.
Già
da
un
po'
ero
diventato
maniaco
della
radio,
ma
ancora
non
mi
rendevo
conto
esattamente
quanto.
(Studio
105
arriverà
poco
dopo e mi trasformerà la vita, diventai un Novantanoviano a tutti gli effetti!).
Guardo Dragoni, e gli dico: "Boh, si potrebbe fare, sarebbe interessante, Ma a fare che?"
Lui
mi
guarda,
mi
prende
in
disparte
e
mi
dice:
"Marco,
allora…la
radio
ha
già
iniziato
da
pochi
giorni
a
trasmettere.
Ovviamente
ci
sono
pochi
soldi.
Sai,
l'ha
aperta
il
Comune.
Stanno
cercando
delle
persone
per
creare
un
gruppo
che
possa
fare
un
certo
lavoro.
Per
cui
stanno
cercando
gente
di
Soresina,
che
ami
la
musica
e
abbia
voglia
di
fare
un'esperienza
nuova.
Stanno
cercando
soprattutto
gente
che
abbia
dei
dischi
a
casa
da
mettere
a
disposizione
della
radio,
per
poter
limitare
le
spese.
Tu
dovresti
eventualmente
mettere
anche
i
tuoi
dischi
a
disposizione.
Questo
è
l'unico
vincolo.
Se
ti
va,
ti
metto
in
contatto
con
loro,
e
poi
si
vedrà"
Mettere
a
disposizione
i
miei
dischi…mmmm…geloso
come
sono
delle
mie
cose.
Però
la
situazione
mi
tentava.
Cavolo,
potevo
avere
a
che
fare
con
una
cosa
che
mi
permetteva
di
stare
nella
musica
quando
volevo.
E
poi…io
mettevo
i
miei
a
disposizione
degli altri, ma gli altri mettevano i loro anche a disposizione mia. Sai quanta musica in più potevo sentire, che non avevo?!
Rispondo
che
è
ok,
va
bene,
ma
in
realtà
non
mi
sto
rendendo
conto
più
di
tanto,
di
quello
che
sto
facendo.
Ne
parlo
con
Pierpaolo,
il
mio
amico
dell'epoca,
con
cui
siamo
praticamente
cresciuti
insieme,
e
con
cui
ci
scambiavamo
in
continuazione
i
dischi. Una persona con cui ho condiviso più di ogni altro la mia infanzia e la mia adolescenza. Il primo vero amico.
Nel
frattempo
Dragoni,
mi
fissa
questo
appuntamento
con
una
persona
della
radio.
La
radio
si
chiama
RCL
26,
che
sta
per
Radio
Comprensorio 26 Lombardia.
Vado
all'appuntamento
con
quelli
della
radio.
Trovo
un
ragazzo
che
gia'
conoscevo,
Elio
Rossi,
che
lavorava
alla
Banca
Popolare,
dove
mia
mamma
aveva
aperto
un
conto.
Incontro
anche
Bruno
Galelli,
un
signore
che
gestiva
il
cinema
di
Soresina.
Conoscevo
anche
lui,
ma
in
realtà
a
Soresina
ci
si
conosceva
tutti.
In
quel
periodo
contava
circa
10.000
abitanti.
Mi
viene
spiegato,
che
potrò
eventualmente
avere
un
mio
spazio,
un
mio
programma,
che
magari
prima
andrò
in
onda
con
altri
DJ,
e
mi
ribadisce
il
fatto
di
mettere i miei dischi a disposizione.
In
effetti
per
avere
solo
15
anni,
di
dischi
ne
avevo
gia'
parecchi.
Oltre
ai
tantissimi
45
comprati
fin
da
bambino,
ora
avevo
una
collezione di circa 400 album, tutta mia, che ingolosivano molto l'emittente.
Dissi
semplicemente:
"Ok,
ci
sto".
Non
sapevo
decisamente
che
questa
scelta
avrebbe
indirizzato
la
mia
vita
in
una
direzione
ben
precisa.
Il
giorno
dopo
scelsi
i
dischi
da
portare
in
radio.
Mica
li
portai
tutti,
ovviamente.
Ne
portai
un
centinaio,
ma
i
miei
preferiti
li
lasciai
assolutamente a casa mia.
Dopo
pochi
giorni
arrivo'
il
mio
programma.
Dovevo
andare
una
sera,
verso
le
9,
in
radio,
per
partecipare
al
programma
di
Elio
Rossi,
e
ci
andai
con
Pierpaolo.
La
radio
era
situata
all'interno
della
torre
di
un
edificio
dell'epoca
di
Mussolini.
Costruzione
imponente,
squadrata,
massiccia,
dai
lineamenti
duri.
All'interno
c'era
la
palestra
del
paese.
Per
arrivarci
bisognava
percorrere
una
grande
scalinata
esterna
che
portava
all’entrata
principale.
Da
qui
altre
2
rampe
di
scale
imponenti,
che
portavano
al
piano
superiore,
dove,
fra
le
altre
cose,
c'era
un’enorme
porta
di
ferro
che
dava
accesso
alla
torre.
Aperta
questa
porta,
altre
2
rampe
di
scale,
questa
volta
piccole,
strette,
lugubri,
con
gradini
piuttosto
alti
e
quindi
faticosi
da
salire.
Col
fiatone,
un
mal
di
gambe
pazzesco,
e
salivazione
azzerata,
alla
fine
si
arrivava
agli
studi
della
radio,
che
erano
a
metà
torre.
Io
e
Pierpaolo
suoniamo.
Ci
apre
lo
stesso
Elio.
Aveva
appena
iniziato
il
programma.
Ci
porta in studio, ci fa sedere, e di colpo ci troviamo in onda con lui.
Elio
parla,
parla,
e
a
un
certo
punto
mi
chiede
qualcosa.
Io
capisco
solo
in
quel
momento
che
non
so
proprio
cosa
ci
sono
venuto
a
fare.
Realizzo
solo
ora
che
magari
dovrei
anche
parlare.
Dico
qualcosa
di
farfugliato,
rispondo
con
un
"sì"
oppure
un
"no",
neanche
ricordo…anche
perché
non
dissi
sicuramente
nulla
che
fosse
degno
di
passare
alla
storia.
Meno
male
che
interviene
Pierpaolo,
che
mi
interrompe
e
comincia
a
parlare,
ridere,
parlare.
Dialoga
con
Elio,
parlano
fra
di
loro.
Io
continuo
ad
avere
la
sensazione
di
essere
un
intruso
che
poteva
anche
starsene
a
casa
sua.
Guardo
Pierpaolo
come
si
guarda
un
alieno.
Penso
fra
me
"Ma
che
sta
dicendo?
Parla?
Ma
dove
le
prende
tutte
queste
cose
da dire?".
Elio
mette
un
disco.
Meglio
così.
Ma
dopo
pochi
minuti,
la
sofferenza
ricomincia.
Elio
parla,
Pierpaolo
risponde.
Elio
si
gira
verso
di
me, mi chiede qualcosa. E io: "Sì, certo, davvero, è così"
Caspita,
un
discorso
da
premio
Nobel!
Lo
so.
E'
la
mia
timidezza
che
mi
sta
fregando
di
nuovo.
Siamo
andati
avanti
un’ora
con
questa
farsa,
tanto
è
vero
che
pensavo
che
il
giorno
dopo,
mi
avrebbero
detto
"Si,
grazie
è
stato
bello,
arrivederci".
Invece
quella
sera,
servì
per
iniziare
comunque
qualcosa.
Probabilmente
eravamo
talmente
in
pochi
a
Soresina
ad
amare
la
musica,
i
dischi,
la
radio,
che
non
potevano
permettersi
di
scegliere.
Altrimenti
"tanti
saluti
Biondi!"
E
così
dopo
pochi
giorni,
mi
ritrovai
in
onda
su
RCL
26,
a
condurre
un
mio
programma.
Che
poi
divennero
2
e
poi
addirittura
3!
Facevo
"Matchbox",
un
programma
di
musica
pop,
una
volta
alla
settimana,
mi
sembra
fosse
di
giovedì
pomeriggio.
Poi
mi
creai
un
programma
di
musica
alternativa
"Spazio
Alternativo
26" che andava in onda mi sembra il martedì pomeriggio, e poi via via altri di cui oggi non ricordo più il nome.
E'
strana
la
vita.
A
distanza
di
36
anni,
nonostante
quell'inizio
disastroso,
io
continuo
a
fare
radio,
come
lavoro.
Pierpaolo
fece
radio
solo per 6 mesi, e poi si stancò e non ne volle più sapere.
In
questa
radio
conobbi,
Walter
Spinetta,
uno
dei
dj
più
forti
della
provincia
di
Cremona,
all'epoca.
Lui
in
radio
era
una
specie
di
direttore
artistico.
Era
bravissimo.
Oltre
alla
radio,
era
il
dj
della
discoteca
di
Soresina,
il
Gatto
Verde.
Fu
lui
praticamente
a
insegnarmi
tutto.
Mi
insegnò
le
basi
del
fare
radio,
contribuì
a
crescermi
musicalmente,
mi
correggeva
quando
sbagliavo,
mi
dava
consigli,
mi
istruiva
sulla
musica.
Devo
dire
che
è
stato
il
mio
primo
vero
maestro.
Ed
è
stato
sempre
Walter,
a
farmi
iniziare
in
discoteca
al
Gatto
Verde,
nel
1978.
Mi
ha
insegnato
tante
cose,
ma
la
cosa
più
importante
era
che
sentivo
che
mi
stimava.
Nonostante lui fosse miliardi di volte più bravo, lui mi stimava e aveva rispetto di me. Ed io allora avevo voglia di imparare da lui.
A
distanza
di
tanti
anni
sono
convinto
che
quella
radio
avrebbe
potuto
avere
un
grande
futuro
perché
era
fatta
da
persone
incredibili
che
avevano
passione,
mestiere,
intuito,
fantasia,
guardavano
sempre
avanti
e
avevano
voglia
di
migliorarsi.
Abbiamo
condiviso tutti insieme un'avventura fantastica che ci unisce ancora oggi.
Grazie ragazzi.
RCL 26 c'è! ...ed è ancora qui!
Marco Biondi
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