Marco Biondi
MARCO BIONDI - Dall’infanzia al mixer. Avevo 15 anni quando mi proposero per la prima volta di fare radio. Non sapevo neanche cosa volesse dire, e non me ne rendevo assolutamente conto. Certo, io sono nato con la musica nel sangue, sono nato cantando, e ho scoperto la radio fin da bambino, grazie a mia madre, che quando era in casa la teneva sempre accesa, soprattutto la domenica mattina, quando, mentre cucinava, ascoltava su Radio Rai "Gran varietà" condotto da Johnny Dorelli, bravissimo. Era un programma che sembrava, per quello che mi ricordo, un varietà fatto per la tv del sabato sera, ma in onda invece la domenica mattina in radio. Me lo ricordo bellissimo, con tanta gente in studio, tanti ospiti, intrattenimento a mille. Mia mamma lo adorava. E poi la radio per me voleva dire la storica "Hit Parade" di Lelio Luttazzi, appuntamento del venerdì, dove io, col mio registratore a bobine della Geloso, mi registravo tutte le mie canzoni preferite. Ero un bambino, ma già mi davo da fare con la piccola tecnologia che potevo usare all'epoca, ma soprattutto con la musica. Ero già un collezionista all'epoca. Noi venivamo da una famiglia povera. Comprare dischi, per la mia famiglia era una spesa che se si poteva, si evitava, anche se eravamo tutti amanti in qualche modo della musica. Mia madre comprava i dischi di musica leggera, ma amava anche le opere liriche, come anche mio padre, che oltre ad ascoltare i dischi, suonava pure mandolino e armonica a bocca. Di dischi, comunque ne compravamo, ma ovviamente non tutti quelli che io avrei voluto. Fin da bambino, avevo l'esigenza di "possedere" tutto quello che mi piaceva. Esigenza che mi porto dietro ancora oggi, nei confronti di tutto ciò che mi piace. Tutto ciò che vedo e che mi colpisce, deve poter entrare in casa mia, sotto la forma di un oggetto o di una fotografia, di un disco, di un nastro registrato. Non è un caso se ho centinaia di foto che, disposte secondo il mio istinto del momento, formano decine di quadri, che scaldano, abbelliscono e fanno vivere, le mura di casa mia. Le persone care, le città dove ho vissuto e che ho visitato, gli artisti che ho intervistato, le serate che ho fatto in discoteca, i calciatori che ho incontrato, gli amici svaniti sulla linea del tempo, le mie donne….Tutto deve poter vivere quotidianamente nella mia casa. E' la storia che continua a vivere e non si trasforma in ricordo. Odio i ricordi, mi sanno di patetico. Ma adoro che la mia storia mi faccia vivere continuamente le sue emozioni. Senza smettere. Mai. Soprattutto le persone. Anche se non le incontrerò più nella mia vita, ci sono delle persone, che da me non se ne andranno mai. Dentro di me, vivranno sempre. E' una delle mie chiavi d’accesso per poter vivere, come faccio da una vita, perennemente nel futuro, ma vivendo a stretto contatto con il mio passato. Non c'è futuro senza passato. Da bambino, si vedeva già questa mia caratteristica di "possesso", e quindi, proprio le canzoni preferite dovevano essere mie, ad ogni costo. E quel piccolo registratore a bobine della Geloso, era il mio archivio. La radio di mia mamma, era in cucina, posta su una mensola vicino alla finestra. Di fianco alla radio, c'era un vaso di fiori (mia mamma adorava i fiori). Sotto la mensola, un divano. Era la mia postazione. Io sul divano col piccolo bobine, e il microfono (sì, si registrava col microfono!), posizionato in bilico sul vaso di fiori, vicino alla radio che suonava. E appena Lelio Luttazzi, annunciava qualche canzone che mi piaceva, scattava il tasto REC, e da quel momento guai a chi parlava in quella stanza! Ogni rumore o parola si sarebbe poi sentiti nelle registrazione. E infatti non vi dico quante canzoni ascoltavo con chiacchiere, o litigi o pentolame vario in sottofondo. Ma quel momento per me era un rito. Il mio archivio musicale arrivava bene o male da quel programma. Ripeto, ero bambino, per cui, i miei idoli in quel periodo erano Gianni Morandi e Adriano Celentano sopra tutti e poi Caterina Caselli, Rita Pavone, Massimo Ranieri, (di quest'ultimo adoravo in modo particolare le canzoni "Vent'anni", "Se bruciasse la citta'" e "Da bambino"). Quest'ultima canzone, Massimo Ranieri la canto' in coppia con i Giganti al Festival di San Remo del 1968. Quanto mi piaceva il Festival, in quegli anni…lo adoravo! Per me era un evento imperdibile. Mi mettevo davanti alla tv, e tifavo per i miei artisti preferiti, che regolarmente non vincevano, ma anzi il più delle volte venivano eliminati o arrivavano ultimi. E il giorno dopo gia' avevo memorizzato alcune di quelle canzoni, che cantavo continuamente. Dopo ogni festival, tutti gli anni, ricordo che veniva a casa nostra un signore, con una valigia pieni di dischi. Erano tutti i dischi di San Remo! E io sceglievo cosa comprare, mentre mi brillavano gli occhi. Altri li compravo alla fiera di Ariadello, un posto affascinante sperduto nella campagna, dove c'era un Santuario e dove ogni anno, in Maggio, c'era questa fiera bellissima, piena di bancarelle e dove si andava a fare il pic-nic nei prati attorno. Obbligavo ogni volta i miei genitori a fermarsi alla bancarella dei dischi, e regolarmente riuscivo a portare a casa qualche 45 giri. Ogni disco conteneva 2 canzoni di successo. Certo, non erano cantate dagli interpreti originali, ma costavano anche molto meno e noi potevamo comprarne di più. Erano praticamente delle cover dei grandi successi di quel periodo, interpretate da cantanti sconosciuti. Ma tranne la voce, erano perfettamente uguali. C'erano ovviamente anche i 45 giri con le versioni originali, e quando riuscivo a farmi comprare qualcuno di quelli, per me, allora, era proprio festa grande! Ma in modo particolare io amavo i gruppi: l'Equipe 84, i Dik Dik (questi mi piacevano di brutto), i Giganti (la loro canzone "Proposta" la consideravo un capolavoro), i Camaleonti, la Formula 3. E poi i Beatles, anzi...i Bitos! Per me si scriveva così. Ma quella diventerà poi una vera malattia (il loro scioglimento fu per me un vero trauma...e avevo solo 9 anni!), così come anche per Battisti (….nella mia vita ho pianto per la scomparsa di un grande artista 3 volte, per John Lennon, per Michael Jackson e... per il grande Lucio Battisti) Anch'io con i miei amici, verso i 12 anni, formai un gruppo. Io alle tastiere e canto, (avevo studiato pianoforte per 4 anni con lezioni private) gli altri a strimpellare qualche strumento. Smisi di suonare con loro quando mi accorsi che dovevo fare tutto io e che a loro non gliene importava più di tanto di far parte di un gruppo. Avevamo fatto in tutto, e no, 4 prove, a casa di qualcuno di loro… All'epoca i nomi che ho citato, erano assoluti idoli della musica leggera italiana. Sono i nomi che rappresentano di più il mio periodo che all'incirca va dai 6 agli 8 anni, ma oltre a loro ce ne erano molti altri, magari legati a una sola canzone. Entro pochissimo tempo, arrivarono poi, appunto, Lucio Battisti, Mina (passione decisamente trasmessami da mia madre, e poi Mina viveva a Cremona, e noi abitavamo a Soresina in provincia di Cremona), e poi tutti gli altri. A quell'età i regali che adoravo in assoluto erano i dischi, per farmi felice anche soldatini, un pallone o un’autopista, mi mandavano in delirio, ma il disco, il 45 giri, mi creava un'euforia e una soddisfazione che non aveva paragone con niente. E già da bambino avevo la mia piccola collezione, che in parte conservo ancora. Ricordo perfettamente la casa che avevamo in quel periodo, la mia prima di una serie di case, in via Caldara 48 a Soresina, la casa della mia infanzia. Aveva un cortile, di forma irregolare, c'era ghiaia in terra, ed era ornato nel suo contorno da aiuole, strette e lunghe, piene di fiori che mia madre amava coltivare e curare. Facevano il perimetro di questo spazio, inizialmente stretto e lungo, che poi si allargava sulla sinistra, per poi stringersi nuovamente, allargarsi sulla destra, per proseguire fino al garage. In fondo, c'era l'orto, che coltivava mio padre. Da bambino, caratterialmente, ero molto chiuso, timido all'eccesso. Amavo stare con i miei piccoli amici di quartiere, pochi, a casa loro o a casa mia. Giocavamo a calcio, ascoltavamo dischi o andavamo in giro. Passavo anche molto tempo da solo, perché i miei genitori lavoravano tutto il giorno e una volta uscito da scuola, o andavo all'oratorio a giocare a pallone, o stavo a casa a farmi gli affari miei, in attesa che i miei ritornassero, oppure andavo da mia nonna Lina, madre di mia mamma, anche lei perennemente con la radio accesa. E poi, quando avevo 4 anni, arrivò Manuela, mia sorella, quindi a volte dovevo accudire lei (ma spesso, Manuela veniva portata dalla nonna). Più passava il tempo e più la voglia di "possedere" dischi, diventava impagabile. Nella mia follia, che ho sempre un po' avuto, nel bene e nel male, e nella mia ingenuità da bambino, un giorno, decisi di fare un esperimento. Ero affascinato a volte, nel vedere mio padre, che di professione faceva l'elettricista, e che aveva questa passione per l'orto, che vangava, seminava, innaffiava, dove c'erano queste cose che poi crescevano, si moltiplicavano e diventavano cibo. Un giorno d'estate, tardo pomeriggio, decido di fare questo esperimento che mi frullava in testa da un po' di giorni. Prendo una decina di 45 giri, li tolgo dalla busta, vado verso l'orto. Sapevo che c'era una piccola parte di terra libera. Prendo i 45 giri, li spingo nella terra, uno a uno, ben distanziati fra di loro, come mio padre faceva con i semi. E me ne vado, aspettando di vedere quello che sarebbe successo. Una follia totale, mi dico ora, da deficiente vero. Che cosa mi aspettavo? Che crescesse una pianta di 45 giri? Ma il bello che io in quel momento ero convinto. Pensavo : "Se si moltiplicano sai quanti ne ho!" Razionalmente mi dico ora, era una cavolata totale, ma che tanto non avrebbe provocato danni al disco. I 45 giri dell'epoca avevano un solco bello spesso, quindi non sarebbero stati neanche danneggiati. Era estate, cosa poteva succedere. Una volta tolti dalla terra avrebbero ripreso a suonare come prima nel mio mangiadischi. Ma successe l'imprevedibile. Quella notte arrivò un diluvio. Un vero diluvio. Che io durante la notte, vivevo come un'impagabile fortuna! Ci voleva l'acqua, del resto, per far crescere qualcosa. Anche se dentro di me c'era la consapevolezza del danno che avrei rischiato di provocare a quei poveri piccoli dischi. Dormii un sonno agitato. E la mattina seguente…vi lascio immaginare le condizioni di quei 45 giri. Completamente distrutti. Dell'etichetta dei dischi era rimasta poca roba, il fango aveva invaso i solchi, e metterli sul giradischi ora, voleva dire, a parte distruggere la puntina, sentire solo gracchiate di fango che tentava di suonare. Ovviamente mio padre se ne accorse subito la mattina dopo, appena andò nell'orto. Non vi dico il putiferio che si scatenò! Ma per me il danno era ancora più grande. Avevo seminato i miei dischi preferiti! Ed ora erano distrutti. Avevo sacrificato in questo esperimento, autentiche perle della mia infanzia, come "Azzurro" di Adriano Celentano, "L'orologio" di Caterina Caselli, "Il Geghegè" di Rita Pavone, "Scende la pioggia" di Gianni Morandi…e davvero….quanta pioggia scese quella notte! Ma la mia creatività di bambino, mi portò anche a inventarmi, tanto per giocare quando ero solo, un juke box umano. Il juke box, negli anni sessanta, era un simbolo, e per me era una scatola magica piena di dischi da suonare. In qualsiasi posto io andassi dove c'era un juke box, ero subito attaccato, affascinato, con le mie 100 lire pronto per fare le mie 3 selezioni, e ascoltare i miei dischi preferiti. Ma soprattutto, essendo in posti pubblici, nella mia testa, e nella mia anima, c'era l'orgoglio di far sentire a tutti i presenti, che cosa stavo scegliendo io. Volevo già in quel momento diffondere quella che per me era la bella musica. Non me rendevo conto, ma forse avevo già iniziato nel mio piccolo a fare il DJ, senza saperlo. A casa, non potendo avere un juke box, me lo inventai, solo per un mio uso personale. Mi mettevo in cortile, prendevo un ombrello, e lo aprivo. Lo giravo, al contrario, in modo che il manico, dal basso arrivasse verso l'alto. Prendevo una serie di 45 giri, e li posizionavo all'interno dei vari raggi dell'ombrello. Quello che ne usciva era una cosa tipo la corona dei juke box, che conteneva i vari dischi. A quel punto facevo la mia selezione immaginaria, prendevo con le mani il 45 giri che avevo scelto, e lo infilavo nel manico dell'ombrello. Appena il disco scendeva lungo il manico, facevo ruotare l'ombrello come se fosse il giradischi e cominciavo a cantare quella canzone. Davvero, un'altra follia, ma da bambino adoravo cantare, cantavo sempre, tutto il giorno. Da bambino ero timido, molto timido. Ero un bambino, che giocava con gli amici, solo se ero con i MIEI amici. All'asilo, in mezzo alla giungla di bambini, la mia timidezza mi portava spesso a starmene in disparte a guardare gli altri che giocavano. Non avevo neanche il coraggio di difendere i miei piccoli diritti. Non pensavo che nella vita, sarei mai riuscito a fare questo tipo di lavoro. Da piccolo volevo emulare mio padre, che faceva l'elettricista, ma in realtà, i sogni di gloria, mi erano arrivati subito. Passavo le giornate a cantare, nel cortile di casa mia, e mi vedevo come la rockstar del momento, che cantava su un grande palco, con davanti migliaia di persone, che rilasciava interviste, che andava in tv, come i miei idoli di Canzonissima, il programma della Rai degli anni sessanta e settanta. Era il mio sogno. Chiudevo gli occhi, mentre cantavo e mi vedevo sul palco, o nello studio della Rai, a cantare le mie canzoni. Poi li riaprivo, e davanti a me c'erano solo tantissimi fiori che coltivava mia madre, che mi sembrava mi guardassero con aria di compatimento. Già componevo canzoni, a orecchio. Le inventavo sul momento. Ce n'era una che adoravo. Era in inglese, un inglese finto, completamente inventato. Avevo 7 anni e di inglese ovviamente non conoscevo una parola, ma avevo fatto questa canzone che mi piaceva un casino. La cantavo sempre, e m’immaginavo di essere un Gianni Morandi inglese, idolo delle folle, che era il mio eroe vero di quel periodo. Oggi quella canzone l'ho dimenticata. Non esistono supporti dove l'abbia registrata. Chissà com'era. Chissà che effetto mi avrebbe fatto, riascoltarla oggi. Io la ricordo bellissima! Ma ho il dubbio che sia bella solo perché si è tramutata in ricordo, risentirla potrebbe essere traumatico! Diciamo, che dentro sono sempre stato un sognatore, ero sempre come un vulcano in eruzione con mille sogni, mille idee, mille speranze, e con punti di arrivo molto alti. Ma fuori, poi, quella tremenda timidezza, mandava tutto a quel paese. Mi impediva di esprimermi come avrei voluto. E tutto naufragava miseramente. Ricordo anche il mio programma in radio. Era il 1976, avevo 15 anni. I miei genitori gestivano un bar del centro di Soresina, il Bar Commercio, che esiste ancora, ed è in via Genala, 48, la via centrale del paese. L'abbiamo avuto per circa 15 anni, ed era un Bar che lavorava tanto. Era sempre pieno. Era bello, perché giovani, adulti e anziani, convivevano tra di loro. C'era il bar, con tabaccheria, e totocalcio con tutti gli annessi e connessi, la paninoteca, la sala TV, la sala biliardo, la sala giochi, nel cortiletto d'estate mettevamo il ping-pong. Era la sede di varie associazioni, come la pro-loco, ed altre. Era sempre pieno. E noi abitavamo di sopra, in una casa che occupava 2 piani. Anch'io lavoravo, spesso controvoglia, in questo bar. Aiutavo. In realtà studiavo ancora, stavo facendo ragioneria, a Soresina, con risultati alterni. Un giorno arriva nel mio bar un signore che di cognome faceva Dragoni. Era un cliente fisso, un uomo enorme, alto, robusto, lo conoscevo da un po' di tempo. Mi dice:"Marco, a Soresina, sta aprendo una radio libera. Ti andrebbe di farne parte?" Da circa 1 anno, sentivo parlare di radio libere. Le prime erano nate nel 1975, le cosiddette radio pirata. Mia mamma aveva tutti i giorni la radio del bar accesa su Radio Brescia, io stesso ero diventato ascoltatore di Radio Punto Nord, un'altra radio di Brescia. C'era un programma di musica pop e alternativa, alle 5 del pomeriggio, che mi piaceva un casino, e lo ascoltavo tutti i giorni. Mettevano tutte le novità del momento, e lì le ascoltavo, e poi spesso andavo a comprare quelle che mi piacevano di più. Già da un po' ero diventato maniaco della radio, ma ancora non mi rendevo conto esattamente quanto. (Studio 105 arriverà poco dopo e mi trasformerà la vita, diventai un Novantanoviano a tutti gli effetti!). Guardo Dragoni, e gli dico: "Boh, si potrebbe fare, sarebbe interessante, Ma a fare che?" Lui mi guarda, mi prende in disparte e mi dice: "Marco, allora…la radio ha già iniziato da pochi giorni a trasmettere. Ovviamente ci sono pochi soldi. Sai, l'ha aperta il Comune. Stanno cercando delle persone per creare un gruppo che possa fare un certo lavoro. Per cui stanno cercando gente di Soresina, che ami la musica e abbia voglia di fare un'esperienza nuova. Stanno cercando soprattutto gente che abbia dei dischi a casa da mettere a disposizione della radio, per poter limitare le spese. Tu dovresti eventualmente mettere anche i tuoi dischi a disposizione. Questo è l'unico vincolo. Se ti va, ti metto in contatto con loro, e poi si vedrà" Mettere a disposizione i miei dischi…mmmm…geloso come sono delle mie cose. Però la situazione mi tentava. Cavolo, potevo avere a che fare con una cosa che mi permetteva di stare nella musica quando volevo. E poi…io mettevo i miei a disposizione degli altri, ma gli altri mettevano i loro anche a disposizione mia. Sai quanta musica in più potevo sentire, che non avevo?! Rispondo che è ok, va bene, ma in realtà non mi sto rendendo conto più di tanto, di quello che sto facendo. Ne parlo con Pierpaolo, il mio amico dell'epoca, con cui siamo praticamente cresciuti insieme, e con cui ci scambiavamo in continuazione i dischi. Una persona con cui ho condiviso più di ogni altro la mia infanzia e la mia adolescenza. Il primo vero amico. Nel frattempo Dragoni, mi fissa questo appuntamento con una persona della radio. La radio si chiama RCL 26, che sta per Radio Comprensorio 26 Lombardia. Vado all'appuntamento con quelli della radio. Trovo un ragazzo che gia' conoscevo, Elio Rossi, che lavorava alla Banca Popolare, dove mia mamma aveva aperto un conto. Incontro anche Bruno Galelli, un signore che gestiva il cinema di Soresina. Conoscevo anche lui, ma in realtà a Soresina ci si conosceva tutti. In quel periodo contava circa 10.000 abitanti. Mi viene spiegato, che potrò eventualmente avere un mio spazio, un mio programma, che magari prima andrò in onda con altri DJ, e mi ribadisce il fatto di mettere i miei dischi a disposizione. In effetti per avere solo 15 anni, di dischi ne avevo gia' parecchi. Oltre ai tantissimi 45 comprati fin da bambino, ora avevo una collezione di circa 400 album, tutta mia, che ingolosivano molto l'emittente. Dissi semplicemente: "Ok, ci sto". Non sapevo decisamente che questa scelta avrebbe indirizzato la mia vita in una direzione ben precisa. Il giorno dopo scelsi i dischi da portare in radio. Mica li portai tutti, ovviamente. Ne portai un centinaio, ma i miei preferiti li lasciai assolutamente a casa mia. Dopo pochi giorni arrivo' il mio programma. Dovevo andare una sera, verso le 9, in radio, per partecipare al programma di Elio Rossi, e ci andai con Pierpaolo. La radio era situata all'interno della torre di un edificio dell'epoca di Mussolini. Costruzione imponente, squadrata, massiccia, dai lineamenti duri. All'interno c'era la palestra del paese. Per arrivarci bisognava percorrere una grande scalinata esterna che portava all’entrata principale. Da qui altre 2 rampe di scale imponenti, che portavano al piano superiore, dove, fra le altre cose, c'era un’enorme porta di ferro che dava accesso alla torre. Aperta questa porta, altre 2 rampe di scale, questa volta piccole, strette, lugubri, con gradini piuttosto alti e quindi faticosi da salire. Col fiatone, un mal di gambe pazzesco, e salivazione azzerata, alla fine si arrivava agli studi della radio, che erano a metà torre. Io e Pierpaolo suoniamo. Ci apre lo stesso Elio. Aveva appena iniziato il programma. Ci porta in studio, ci fa sedere, e di colpo ci troviamo in onda con lui. Elio parla, parla, e a un certo punto mi chiede qualcosa. Io capisco solo in quel momento che non so proprio cosa ci sono venuto a fare. Realizzo solo ora che magari dovrei anche parlare. Dico qualcosa di farfugliato, rispondo con un "sì" oppure un "no", neanche ricordo…anche perché non dissi sicuramente nulla che fosse degno di passare alla storia. Meno male che interviene Pierpaolo, che mi interrompe e comincia a parlare, ridere, parlare. Dialoga con Elio, parlano fra di loro. Io continuo ad avere la sensazione di essere un intruso che poteva anche starsene a casa sua. Guardo Pierpaolo come si guarda un alieno. Penso fra me "Ma che sta dicendo? Parla? Ma dove le prende tutte queste cose da dire?". Elio mette un disco. Meglio così. Ma dopo pochi minuti, la sofferenza ricomincia. Elio parla, Pierpaolo risponde. Elio si gira verso di me, mi chiede qualcosa. E io: "Sì, certo, davvero, è così" Caspita, un discorso da premio Nobel! Lo so. E' la mia timidezza che mi sta fregando di nuovo. Siamo andati avanti un’ora con questa farsa, tanto è vero che pensavo che il giorno dopo, mi avrebbero detto "Si, grazie è stato bello, arrivederci". Invece quella sera, servì per iniziare comunque qualcosa. Probabilmente eravamo talmente in pochi a Soresina ad amare la musica, i dischi, la radio, che non potevano permettersi di scegliere. Altrimenti "tanti saluti Biondi!" E così dopo pochi giorni, mi ritrovai in onda su RCL 26, a condurre un mio programma. Che poi divennero 2 e poi addirittura 3! Facevo "Matchbox", un programma di musica pop, una volta alla settimana, mi sembra fosse di giovedì pomeriggio. Poi mi creai un programma di musica alternativa "Spazio Alternativo 26" che andava in onda mi sembra il martedì pomeriggio, e poi via via altri di cui oggi non ricordo più il nome. E' strana la vita. A distanza di 36 anni, nonostante quell'inizio disastroso, io continuo a fare radio, come lavoro. Pierpaolo fece radio solo per 6 mesi, e poi si stancò e non ne volle più sapere. In questa radio conobbi, Walter Spinetta, uno dei dj più forti della provincia di Cremona, all'epoca. Lui in radio era una specie di direttore artistico. Era bravissimo. Oltre alla radio, era il dj della discoteca di Soresina, il Gatto Verde. Fu lui praticamente a insegnarmi tutto. Mi insegnò le basi del fare radio, contribuì a crescermi musicalmente, mi correggeva quando sbagliavo, mi dava consigli, mi istruiva sulla musica. Devo dire che è stato il mio primo vero maestro. Ed è stato sempre Walter, a farmi iniziare in discoteca al Gatto Verde, nel 1978. Mi ha insegnato tante cose, ma la cosa più importante era che sentivo che mi stimava. Nonostante lui fosse miliardi di volte più bravo, lui mi stimava e aveva rispetto di me. Ed io allora avevo voglia di imparare da lui. A distanza di tanti anni sono convinto che quella radio avrebbe potuto avere un grande futuro perché era fatta da persone incredibili che avevano passione, mestiere, intuito, fantasia, guardavano sempre avanti e avevano voglia di migliorarsi. Abbiamo condiviso tutti insieme un'avventura fantastica che ci unisce ancora oggi. Grazie ragazzi. RCL 26 c'è! ...ed è ancora qui! Marco Biondi
Files musicali di Marco Biondi (Black Baron) _______________ Cut & Mix 2 Cut & Mix 1
RCL26 è parte del network Radionomy.com che assolve a tutti i diritti d’autore, editoriali e fonografici.
© RCL26.it - 2024 Email: info@rcl26.it